Settantaquattro anni di Repubblica. Memoria sì, ma anche un nuovo ordine sociale che dia Voce e Valore al Lavoro.

Settantaquattro anni di Repubblica. Non si può non celebrare un avvenimento così importante, pregno di significato e soprattutto di memoria. La memoria è importante. Pensare a quanti si sono battuti e hanno perso la vita per la nostra libertà lo è altrettanto. Questa celebrazione ricade in un momento particolare che vede tutte le economie mondiali in ginocchio per effetto della pandemia. Tanti sono i sentimenti, vecchi e nuovi, che pervadono gli italiani. Il ricordo dei progenitori persi durante le guerre passate, le preoccupazioni di oggi per il lavoro che manca per i giovani; il lavoro che c’è e si perde per effetto della crisi preesistente e anche a causa di questa pericolosa pandemia.

Forse è giusto anche analizzare le ragioni di chi si è lamentato per le restrizioni di libertà dei nostri movimenti in questi tre mesi, al punto che qualcuno è arrivato persino ad affermare: “questa non è democrazia”. Io comprendo questa giusta, richiesta di ripartenza e di libertà di movimento da parte dei cittadini, ma starei bene attento a paragonare o a fare affermazioni, di questi giorni, del tipo: “si stava meglio quando c’era Benito”. Bisognerebbe riflettere molto prima di parlare e pesare le parole e soprattutto capire che è cosa ben diversa un ventennio senza democrazia, sotto dittatura fascista, che ha massacrato la nostra Italia generando morti e miseria, da quella democrazia che ci è potuta sembrare violata per un brevissimo periodo da alcune limitazioni, essendoci stato chiesto, per tutelare la nostra salute e di quella degli altri, di rimanere a casa per qualche mese, di non poter stare con i nostri congiunti di altre realtà, o di andare a prendere l’aperitivo o il caffè con gli amici, o di andare in discoteca, al cinema o in piazzetta. E’ anche vero che uno Stato che chiede ciò deve assicurare a cittadini e imprese tutto il necessario per poter salvaguardare la propria salute e quella degli altri, quindi una ripartenza che non lasci nessuno a casa, nessuno indietro, nessuna saracinesca che non possa più rialzarsi.

Il 2020 ci illustra, purtroppo, visioni drammatiche di conflitti sociali, militari, epidemie da virus, terrorismi con una globalizzazione economica sempre più disumana, esemplificata dal miliardo di persone che vivono con meno di un euro al giorno sul nostro pianeta. Si potrebbe affermare senza possibilità di smentita che il virus è riuscito dove non è stata capace (on non ha voluto) la politica e i governi nazionali, europei, mondiali. Il virus è riuscito a fermare, comunque a mettere in crisi e/o a zittire almeno momentaneamente economia, finanza e globalizzazione disumana. Sembra, improvvisamente, che questo mondo e le sue regole economiche e finanziarie dell’ultimo ventennio non ci appartengano più e che nuovi paradigma siano in atto e fanno si che si incentrino, finalmente, sulla persona, la salute, l’ambiente, il clima. Si impone una ripartenza, un nuovo inizio che riscriva le regole dell’economia e metta da parte finalmente quella globalizzazione disumana che ha dato primazia a mercati e finanza, mettendo in ultima scena le persone. Un fenomeno, quello della globalizzazione, che come ha lucidamente preconizzato lo storico Eric Hobswam ha messo in crisi anche uno dei fondamenti delle moderne democrazie: la sovranità degli Stati nazionali, considerato che molte delle decisioni che riguardano le prospettive di vita e di lavoro dei cittadini in tutto il mondo non sono assunte dalle istituzioni rappresentative della volontà popolare, ma da organi tecnocratici che ragionano solo attraverso parametri economicistici di stampo neoliberista. Questo non deve significare non essere Europei. Ma solo che una Europa che punta solo a misurare decimali di debito degli Stati, che lascia ai tecnocrati la gestione della economia e dei mercati, non è quella che hanno auspicato Altieri Spinelli Alcide De Gasperi e che nessuno di noi vuole, perché auspichiamo gli Stati Uniti D’Europa.

Anche se proprio in questi giorni una ingente massa di risorse economiche mai vista è stata messa a disposizione dall’Europa per la ripartenza, non v’è dubbio che nell’Unione europea, nell’ultimo ventennio, è prevalsa, purtroppo, una linea di politica economica fondata sull’equilibrio dei bilanci pubblici, la stabilità dei prezzi, la liberalizzazione dei mercati, la deregulation nel campo dei rapporti di lavoro, le privatizzazioni di imprese e servizi pubblici, ma venendo meno all’impegno, contenuto tra l’altro nell’Agenda di Lisbona, di promuovere la crescita dell’economia e dell’occupazione, comprimendo le tutele sociali e determinando un depauperamento generale testimoniato dal caso italiano, dove il contenimento dell’inflazione è stato, dall’introduzione della moneta unica, solo nominale, incidendo sul potere d’acquisto delle classi più deboli e impoverendo anche il ceto medio. Il Welfare italiano è stato pesantemente destrutturato negli anni della cosiddetta “Seconda Repubblica”. Si tenta, ancora, di obliterare i valori che stanno alla base del nostro Patto costituzionale, nato dalla Resistenza antifascista e dall’incontro tra culture democratiche diverse: l’aspirazione dossettiana a realizzare i valori cristiani nella modernità propria del pensiero di Jacques Maritain e di Emanuel Mounier, la “democrazia progressiva” figlia dell’adattamento alla vicenda politica italiana della tradizione marxista, il liberalsocialismo azionista, con sullo sfondo una visione liberale intesa quale “religione della libertà”. Sul versante sociale si deve osservare che ciò che resta del sistema di sicurezza sociale, ben poco in verità, è ispirato a vecchie logiche risarcitorie che non possono dare risposte ai fenomeni della frantumazione delle forme lavorative, l’intermittenza delle prestazioni, il proliferare di lavori precari né subordinati né autonomi, le nuove povertà ed oggi l’esplosione del lavoro agile (smatworking) che pone la necessità di regolamentazione. Tutti concordano ormai che il nuovo Stato sociale non possa che essere ridisegnato a partire dai problemi dell’esclusione e della marginalità sociale, utilizzando politiche di inserimento che dettino le condizioni per la reintegrazione dei soggetti deboli nella società, attraverso buone pratiche di prevenzione, cura, assistenza, inserimento lavorativo e formazione professionale. In una parola, nella ricorrenza della celebrazione della Repubblica Italiana, oltre alla memoria e a ricordare e a difendere i valori della Resistenza, occorre sì guardarsi indietro per vedere quanta strada è stata percorsa e quale sia stato il prezzo di sangue pagato per garantire la libertà di cui oggi godiamo, ma è giusto anche ripensare il sistema sociale, democratico, istituzionale. In una parola la ripartenza deve essere l’occasione non solo per gioire perché “il dittatore Governo” ci ha dato il “liberi tutti” e che quindi possiamo riprendere liberamente ed in modo scanzonato le nostre abitudini, pure necessario, quanto al fatto che vanno ripensati gli interventi in economia, nella sanità, nelle infrastrutture (materiali ed immateriali) a cominciare dalla formazione e dalla didattica a distanza, quindi al riequilibrio nord-sud, rivitalizzando la domanda interna, pensando a nuove fiscalità di vantaggio per il Mezzogiorno e a nuove e mirate Politiche Industriali, senza le quali il Paese sprofonderà sempre di più, poiché il lavoro lo creano le imprese. Il pubblico può stimolare lo sviluppo, può orientare processi di crescita, può assicurare sistemi formativi e di istruzione adeguati, ma senza imprese l’Italia ed il Mezzogiorno, soprattutto, non hanno futuro.

Buona Festa della Repubblica cari concittadini, che questa ripartenza possa portare con se tutto questo e soprattutto nuova concordia e “nuovi costruttori di futuro”.

Benedetto Di Iacovo, Segretario Generale Confial – Cavaliere al Merito dell’Ordine della Repubblica Italiana.

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