L’8 Marzo di quest’anno si svolge in un contesto gravido di incertezze, con guerre e crisi economica e sociale a livello globale che colpisce soprattutto il lavoro femminile, sia sul versante occupazionale quanto su quello salariale, accentuando le divaricazioni delle disparità di genere. Ecco perché, è necessario accompagnare la celebrazione con riflessioni sul tema del ruolo delle donne nella società e nel mondo del lavoro, bandendo la trasformazione della giornata in un’occasione di marketing, di cene al ristorante, con una offerta spasmodica di eventi in locali alla moda, con le mimose, ieri simbolo di forza e di lotta per l’emancipazione delle donne, ed oggi trasformate a volte in strumenti commerciali per il profitto.
E la Giornata delle Donne nel 2024, si presenta con la drammatica recrudescenza dell’intollerabile fenomeno del femminicidio in Italia e la negazione del principio di dignità in quei paesi segnati dall’arretratezza culturale e politica, prodotta da una concezione teocratica dello Stato.
A ben vedere guerre e patriarcato, quest’ultimo inteso come la malcelata volontà di dominio dell’uomo sulla donna, sono tra loro compenetrate.
E’ sempre di attualità il saggio sui diritti delle donne del 1938, alla vigilia della seconda guerra mondiale, dal titolo Le tre ghinee, scritto da una delle figure iconiche delle lotte femminili, Virginia Wolf. Il saggio pur nascendo come un pamphlet contro la guerra, inevitabilmente figlio della situazione geopolitica del drammatico inizio del “secolo breve”, conserva intatta l’originalità del pensiero di una scrittrice in grado di illustrare il percorso del femminismo sino al nostro tempo. Infatti, le tre simboliche ghinee, nel saggio destinate ad un fondo per l’istruzione femminile, ad un altro per garantire l’accesso delle donne alle libere professioni e l’ultima a un’associazione femminile pacifista chiamata “la società delle estranee”, sono tutt’oggi in grado di indicare, mutatis mutandis, i campi di intervento per l’emancipazione femminile: diritto allo studio, parità di condizioni nel lavoro e nelle professioni, pacifismo consapevole.
Sul terreno dei diritti sociali si deve osservare che Italia non è un Paese per donne, almeno se si guarda al mondo del lavoro e ai dati che riguardano l’occupazione, dove le donne che lavorano sono 9,5 milioni contro i 13 milioni di uomini. Un gap di genere frutto non di scelte libere e legittime, ma conseguenza di condizioni di contesto e di un percepito sociale delle donne ancora discriminante: l’Italia resta il fanalino di coda della Unione Europea per il più basso tasso di occupazione delle donne, sottopagate e con impieghi, spesso precari, in settori non strategici.
Gli ultimi dati nazionali disponibili, quelli del 2022, evidenziano anche altro. Le dimissioni generali nel 2022 in Italia sono cresciute a 61.391 con un aumento del 17,1% rispetto al 2021, ma di queste quasi il 73% riguarda donne che denunciano difficoltà a gestire tempi di vita e tempi di lavoro.
E sono quasi 45.000 le donne che hanno lasciato il lavoro dopo la maternità, con un incremento del 19% rispetto all’anno precedente, a causa della mancanza di servizi di supporto territoriali per la prima infanzia. La situazione delle neomamme è però solo la punta dell’iceberg delle difficoltà che le donne vivono nel lavoro sulla propria pelle: discriminazione e mobbing restano, infatti, i problemi più diffusi che alimentano il divario di genere esistente.
La Confial e tutto il suo gruppo dirigente, femminile e maschile, ritiene necessario superare il gap di genere attraverso una diversa cornice legislativa, all’altezza delle domande delle donne e della società, in cui sviluppare buone prassi contrattuali, che guardino alla parità retributiva, al welfare aziendale e alla formazione come assi prioritari, quindi ad azioni positive a favore delle donne e a pari effettive opportunità di carriera e di crescita professionale.
Una azione sindacale, ricordando quanto a ragione ebbe a sostenere una delle protagoniste delle lotte sociali e per l’emancipazione femminile, Anna Kuliscioff, che sulle colonne della rivista La difesa delle lavoratrici, nel 1912, scrisse parole ancora attuali, degne per celebrare purtroppo oggi l’8 marzo: “la donna proletaria è schiava tre volte, nell’officina, nella famiglia, nella società”. Nella contemporaneità: sfruttata e non adeguatamente valorizzata nei luoghi di lavoro pubblici e privati, sfruttata da madre e moglie in famiglia, non adeguatamente inserita e posta ai livelli apicali nella società e nei grandi enti e a volte nella politica e anche nel sindacato.
Contro queste ataviche schiavitù, tenendo conto che le donne, da sempre, sono preziose risorse che hanno saputo dimostrare valore e professionalità in ogni campo, si deve realizzare una “buona battaglia” di idee, per una nuova visione e progettualità per effettive pari opportunità nel lavoro e nella vita quotidiana, quindi una nuova mobilitazione collettiva.
L’8 marzo rappresenta sempre un’opportunità cruciale per riflettere sulle lotte passate e presenti delle donne e per celebrare alcuni importanti successi ottenuti verso la parità di genere. È un momento per riconoscere il contributo straordinario delle donne in tutti gli ambiti della società, dalle scienze alla politica, dalla tecnologia alla cultura, dall’economia alla famiglia.
Tuttavia, non possiamo ignorare le sfide ancora presenti nel cammino verso la piena parità di genere. Le disparità salariali, la violenza di genere, la discriminazione sul luogo di lavoro e l’accesso limitato all’istruzione e alle opportunità economiche rimangono problematiche cruciali che richiedono azioni concrete e impegni duraturi da parte di tutti noi.