L’intesa raggiunta da Confindustria e Cgil, Cisl e Uil sul cosiddetto “Patto della fabbrica” ha le premesse in motivazioni condivisibili: misurare l’effettiva rappresentatività delle associazioni datoriali e dei lavoratori e contrastare il dumping contrattuale. Il problema di quest’intesa che appare evidente però, sia sotto il profilo giuridico che sindacale, è che si vorrebbe con un accordo di autonomia collettiva e, quindi, di natura privatistica, certificare per tutti i soggetti della rappresentanza di interessi la rappresentatività e, surrettiziamente, conferire efficacia generale ai contratti collettivi da essi stipulati. Si ripropone così, il vecchio modello di “ordinamento intersindacale” chiuso e non inclusivo, basato sugli attori “storici” delle relazioni industriali e non sull’attualità di un sistema di rapporti sindacali, che, sia sul versante datoriale che su quello del lavoro, è dinamico e pluralista. 
Per questo, al nuovo Parlamento che scaturirà dalle urne il 4 marzo, la CONF.I.A.L. chiederà di riprendere la previsione del “salario minimo legale”, escluso dai decreti attuativi del JobS Act e, cioè, l’articolo 1, comma 7, lettera g) della legge delega n. 183/2014 e di approvare una legge su rappresentatività ed efficacia erga omnes dei contratti collettivi, anche in relazione all’art. 39 della Costituzione: il 4 dicembre 2016 la Costituzione è stata confermata da un referendum, adesso la si attui integralmente, evitando che, arbitrariamente, soggetti privati disciplino per tutti fattispecie collettive.
Confial –conclude Benedetto Di Iacovo- analogamente a quanto già fatto con l’iniziativa al Senato della Repubblica nel 2017, non appena si insedierà il nuovo parlamento riprenderà il confronto con tutte le forze politiche presenti perché possa essere votata una legge sulla Rappresentatività e sulla Rappresentanza sia delle Associazioni sindacali che datoriali.
