Giovani e mercato del lavoro. Dati ISTAT. Le considerazioni della CONF.I.A.L.

Giovani e mercato del lavoro. (Dati ISTAT).

LA RICERCA

Nel 2016 i giovani tra i 15 e i 34 anni sono circa 12 milioni e mezzo e rappresentano il 21% della popolazione residente in Italia.

Il 40% dei diplomati e il 60% dei laureati hanno avuto almeno un’esperienza di lavoro durante l’ultimo corso di studio. La maggioranza di queste esperienze è stata parte del corso di studio: il 25,8% dei diplomati e il 36,1% dei laureati hanno effettuato stage, tirocini o apprendistati all’interno del programma di istruzione.

Sono 8 milioni e 10 mila, il 63,2% dei 15-34 enni, i giovani fuori dal sistema di istruzione formale. Tra questi il livello di istruzione è più alto tra le donne, tra i residenti nel Centro-Nord e tra coloro che provengono da famiglie con più elevati titoli di studio.

Successivamente al conseguimento del titolo di studio il 14,2% dei giovani usciti dal sistema di istruzione ha iniziato un altro corso di studi, poi interrotto.

Soltanto l’11,9% dei giovani ha ricevuto, nel 2015 una qualche forma di aiuto nella ricerca di lavoro da parte di una istituzione pubblica: il 13,8% degli occupati che hanno iniziato un lavoro negli ultimi 12 mesi, il 15,1% dei disoccupati e il 6,5% della forza di lavoro potenziale.

Quattro giovani disoccupati su 10, soprattutto laureati, sarebbero disponibili a trasferire per motivi di lavoro la loro residenza. A parità di livello di istruzione, le maggiori disponibilità a traslocare, anche all’estero, si riscontrano in giovani provenienti da ambienti familiari culturalmente più elevati.

Quattro giovani occupati su 10 hanno trovato lavoro con la segnalazione di parenti, amici o conoscenti. Tra i laureati crescono di molto le possibilità di trovare lavoro attraverso altri canali.

Tra i giovani usciti dal percorso educativo il tasso di occupazione è al 60% e cresce all’aumentare del livello di istruzione: 47,4% per chi ha un titolo di studio basso, 63,0% per i diplomati, 71,7% per i laureati. Ha un lavoro a termine oltre un giovane su quattro. Tra coloro che sono usciti dal sistema di istruzione nell’ultimo biennio (II trim 2014 – II trim 2016) la quota di occupati in lavori atipici è del 51,7% per i laureati e del 64,4% per i diplomati. All’aumentare dell’età i giovani occupati in lavori temporanei passano dal 66,6% dei 15-19enni fino al 15,3% dei 30-34enni.

Un giovane occupato su quattro lavora a orario ridotto, nella maggioranza dei casi per l’impossibilità di trovare un’occupazione a tempo pieno.

Il 41% dei diplomati e il 31,4% dei laureati dichiarano che per svolgere adeguatamente il proprio lavoro sarebbe sufficiente un più basso livello di istruzione rispetto a quello posseduto.

Durante la recessione è cresciuta anche la quota dei giovani che non svolgono attività lavorative e non sono impegnati né in percorsi di istruzione né in attività formative (NEET), sia per effetto delle maggiori difficoltà a trovare lavoro, sia per effetto di un incremento nel numero di giovani scoraggiati che rinunciano a cercare attivamente un’occupazione. Il fenomeno presenta livelli particolarmente elevati in alcuni Paesi dell’area mediterranea (Spagna, Grecia, Italia)e in Bulgaria e Irlanda, dove la quota dei

NEET supera il 20%. I dati italiani presentano un quadro di nuovo decisamente più preoccupante di quello medio europeo sia nel gruppo di età per 15–24 e sia in quello 25–29 e la situazione delle ragazze risulta essere ancora peggiore.

Gli incentivi della legge di stabilità per le assunzioni a tempo indeterminato degli under 35 non stanno avendo grandi effetti», perché in questo momento in Italia non c’è grande domanda di lavoro, sia perché l’apprendistato costa meno di un contratto a tempo indeterminato con gli incentivi, e poi ci sono i tirocini, che costano ancora meno». A crescere sono solo i contratti a tempo determinato e i lavori autonomi. In un anno, mentre i contratti stabili sono diminuiti di 112 mila unità, quelli a termine sono 329 mila in più.

Sin qui la ricerca ISTAT,

“Alla luce di tutto questo –evidenzia il Segretario Nazionale di CONF.I.A.L. Benedetto Di Iacovo– le prospettive dei giovani restano ancora più incerte e, sicuramente, trattandosi di oltre 10 milioni e cinquecentomila italiani che compongono la nostra popolazione, la risposta non può essere un po di reddito di cittadinanza, ma una radicale, profonda inversione di marcia sulle politiche attive, con una altrettanta radicale trasformazione e rivoluzione dei Centri per l’Impiego che, ad oggi, riescono a collocare soltanto il 3,5% di tutte le forze lavoro collocate in un anno.  La nuova società, -prosegue Di Iacovo- a differenza di quanto si teorizzava sino ad almeno dieci anni fa (periodo pre crisi: 2018), sembra ormai fatta per una minoranza illuminata formata da consulenti tecnici, professionisti ed imprenditori che vivono seguendo, o meglio accompagnando, la net society. Una società reticolare a maglie strette che tende ad alimentare (ormai diversi studi e ricerche ne sottolineano il rischio) meccanismi di esclusione piuttosto che di inclusione sociale e soprattutto dinamiche lavorative sul versante produttivo e non assistenziale”. Nel nostro paese questo esito tende a rinsaldarsi, poiché si riallaccia ad una serie di fattori, a partire dalla mancanza di adeguate politiche di sviluppo, tra le quali quelle relative alla nascita di nuove imprese (unica condizione per creare occupazione), che formano un retaggio nazionale dal quale risulta difficile affrancarsi: lo sviluppo economico duale, che traccia ancora una linea di demarcazione netta tra le aree settentrionali e meridionali della penisola; il persistere di elevati tassi di disoccupazione, soprattutto tra le categorie deboli del mercato del lavoro (dequalificati, giovani, donne, disoccupati di lunga durata); la necessità di modernizzare le infrastrutture logistiche e di rendere efficiente l’erogazione dei servizi amministrativi pubblici; l’esistenza di un Welfare state di stampo universalistico e, allo stesso tempo, largamente incompiuto (è noto che la rete di sicurezza collettiva italiana è caratterizzata da ampie zone d’ombra nel campo delle politiche famigliari, dell’assistenza sociale e della formazione lungo tutto l’arco della vita). Il decennio appena trascorso –non va dimenticato- lascia, inoltre, in eredità la crisi del sistema politico, acuito dalla mancanza di una chiara ed efficace legge elettorale, una crisi complessiva che investe i partiti, le istituzioni e gli stessi meccanismi di creazione del consenso e di rappresentanza degli interessi sociali.

Lo stesso edificio della democrazia liberale -secondo il Coordinatore della Segreteria Nazionale della CONF.I.A.L.- è scosso in pressoché tutti i paesi ad elevato tasso di sviluppo, ma non v’è dubbio che in Italia tale dinamica si sia accentuata in modo repentino negli ultimi dieci anni.   “Il mercato del lavoro cambia e il dibattito pubblico continua a non andare oltre il binomio “contratto a tempo indeterminato sì o no. Se i giovani sono il futuro, il contratto a tempo indeterminato, così com’è oggi in Italia, non rappresenta il futuro del lavoro, è chiaro quindi che nessuno assume i giovani con questi contratti. Il mercato del lavoro si sta muovendo addirittura verso una formula in cui, per alcune mansioni, non saranno più necessari né il contratto così come li conosciamo oggi né l’orario di lavoro. Serve quindi regolare per legge il salario minimo legale orario e superare la stessa contrattazione collettiva nazionale, lasciando invece ai luoghi di lavoro la possibilità di negoziare salario in ragione delle effettive necessità produttive e delle condizioni territoriali. Le politiche attive per il lavoro, che si intendono adottare anche nell’ambito della programmazione europea, consistono in una maggior diffusione degli strumenti di incentivazione all’occupazione, con il fine di compensare le maggiori difficoltà occupazionali di alcuni gruppi di lavoratori quali i giovani, soprattutto nel Mezzogiorno, incidendo direttamente o indirettamente nella immaterialità, quindi sul costo del lavoro; in interventi quali gli investimenti in istruzione e formazione, specialmente di tipo tecnico e professionale, con particolare riguardo a settori e filiere di produzione, che pongono al centro della loro azione l’incremento della qualità delle competenze dei giovani, anche attraverso la valorizzazione del sistema di alternanza scuola-lavoro, il rilancio e la promozione del tirocinio e delle diverse tipologie del contratto di apprendistato. Una particolare attenzione è dedicata anche alle politiche del lavoro finalizzate alla promozione delle start-up e dell’autoimprenditorialità giovanile nei campi della produzione di beni e servizi alle imprese, dell’agricoltura e della fornitura di servizi. Infine, non vanno dimenticate “l’era digitale” e le potenzialità offerte da “Industria 4.0” “.

N.B. le Immagini sono di repertorio.

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