Omesso versamento contributi previdenziali

L’obbligo del versamento dei contributi previdenziali sorge nel momento in cui le prestazioni di un soggetto (lavoratore) vengono utilizzate da un altro soggetto (datore di lavoro).

La contribuzione previdenziale ordinaria è pari al 33,00% della retribuzione lorda o del compenso, di cui il 23,81% è a carico del datore di lavoro (o committente) e il 9,19% è a carico del lavoratore

La base imponibile contributiva si determina applicando il “principio di competenza” sulla base del quale il reddito di lavoro dipendente ai fini previdenziali è costituito da tutte le somme e i valori in genere a qualunque titolo maturati nel periodo di riferimento in relazione al rapporto di lavoro.

Fanno eccezione a tale principio solo le gratificazioni annuali e periodiche, i conguagli di retribuzione spettanti a seguito di norma di legge o di contratto aventi effetto retroattivo e i premi di produzione che sono assoggettati a contribuzione nel mese di corresponsione, secondo il così detto “principio di cassa”, e devono essere indicati nella denuncia relativa al mese di effettivo pagamento.

In caso di omesso versamento dei contributi previdenziali dovuti entro i termini stabiliti, si applica il regime sanzionatorio disciplinato dalla legge n. 388/2000 che prevede il pagamento per il datore di lavoro somme aggiuntive, che maturano in relazione al ritardo nel versamento, e la cui misura percentuale, in rapporto al capitale non versato, cambia in relazione alla tipologia di omissione.

Esiste, però, un caso “eccezionale” in cui l’omesso versamento dei contributi INPS spettanti ai lavoratori dipendenti può essere giustificato: in assenza di liquidità.

Tuttavia, per evitare l’applicazione delle sanzioni, il datore di lavoro è tenuto a provare che “la crisi non sia a lui imputabile e che non gli sia stato possibile reperire le risorse necessarie per il corretto e puntuale adempimento delle obbligazioni tributarie e contributive, pur avendo posto in essere tutte le possibili azioni, anche sfavorevoli per il suo patrimonio personale, atte a consentirgli di recuperare la necessaria liquidità”.

A stabilirlo è una sentenza della Corte di Cassazione (Sez. 3, n. 5467 del 5.12 2014), che sottolinea la necessità, per il datore di lavoro, di dimostrare l’impossibilità di fare fronte alle obbligazioni assistenziali e previdenziali.

 

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