Le culture del lavoro.

Sono trascorsi trent’anni dalla pubblicazione de “la fine del lavoro”, il libro nel quale l’economista americano Jeremy RifKin analizzava il processo di trasformazione tecnologica che negli anni novanta del secolo scorso stava investendo il settore dei servizi, principalmente attraverso la diffusione capillare dell’utilizzo degli strumenti informatici i quali -secondo l’analisi di Rifkin- avrebbero prodotto una drastica riduzione dei posti di lavoro anche nel terzo settore, come era già avvenuto nei settori industriali e del manifatturiero.

Rifkin in quella pubblicazione, dalla quale intendiamo partire per affrontare le problematiche e le culture del lavoro, faceva un’analogia con le fasi di trasformazione connesse all’avvento e alla diffusione delle macchine nei settori dell’agricoltura e dell’industria manifatturiera, realizzatesi nel diciannovesimo e nel ventesimo secolo, le quali avevano generato momenti di espulsione di consistenti quantità di lavoratori, alle quali erano tuttavia sempre seguite fasi di ricollocazione di gran parte degli stessi lavoratori in nuovi settori emergenti – a differenza dell’Italia ed in Europa –  almeno in America.

L’analisi di Rifkin partiva dall’assunto che – a differenza di quanto avvenuto in passato, attraverso la diffusione dell’utilizzo delle macchine e dell’automazione in genere nell’agricoltura e nell’industria

– l’informatizzazione del settore dei servizi e il progressivo affermarsi, per come vedremo, di sistemi informatici sempre più “intelligenti”  avrebbe causato una progressiva espulsione di lavoratori che il mercato del lavoro non sarebbe stato in grado di ricollocare in altri contesti produttivi, evidenziando la necessità di guardare ai diversi mondi dei lavori ed alle sue profonde trasformazioni e che anche lo sviluppo di un territorio o di un Paese, non avrebbe più prodotto, in automaticco –come un tempo- nuova occupazione .

PERCHE’ LO SVILUPPO NON CREA PIU’ LAVORO

Perché anche in presenza di nuovo sviluppo non si crea più, facilmente, nuovo lavoro?

Un tempo le teorie economiche usavano affermare che quando in un Paese si creava sviluppo, quindi nuove imprese e servizi, automaticamente si creava nuova occupazione.

Questo paradigma è stato vero sino a tutti gli anni ‘80/90.

E’ dalla fine degli anni 90 che questa automaticità sembra essersi inceppata.

VEDIAMO IL PERCHE’!

LE TRASFORMAZIONI IMPETUOSE

In questi anni il mondo del lavoro ha vissuto trasformazioni impetuose, direi straordinarie, che ne hanno cambiato:

il “senso” e la struttura;

le forme della sua organizzazione e i tempi;

la domanda e l’offerta.

    Ci sono quattro fattori importanti che hanno caratterizzato l’evoluzione socio economica negli ultimi due/tre  decenni:

I QUATTRO FATTORI

La meccanizzazione e l’automatizzazione della produzione di massa;

Le nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione;

La globalizzazione dell’economia;

La scolarizzazione di massa e la conseguente demassificazione dell’individuo quale lavoratore /massa nella fabbrica a catena di montaggio.

arton25280IL LAVORO TIPICO E’ DIVENTATO ATIPICO

Ognuno di questi fattori ha influenzato in modo determinante il mondo del lavoro.

Dal punto di vista dei lavoratori, le nuove tecnologie, in generale, ma l’automatizzazione e l’informatizzazione, in particolare, oltre a provocare disoccupazione strutturale, hanno dequalificato il lavoro già esistente, rendendo ormai “tipico” il lavoro cosiddetto atipico, poiché, ormai, a forte contenuto di precarietà.

IL LAVORO E’ DEFINITIVAMENTE  CAMBIATO

Bisogna prendere atto che il lavoro è ormai definitivamente cambiato poiché, grazie a tutto questo, si può produrre di più e meglio e, purtroppo con meno personale, in quanto le nuove tecnologie provocano una liberazione delle energie umane.

Le figure del lavoro tradizionali sono inserite oggi in un mondo caratterizzato dalla flessibilità e dalle atipicità.

IL LAVORO. UN DIAMANTE A TRE FACCE

E’ come se: “Il diamante del lavoro”, che aveva tre sole facce che riflettevano con luce a varia intensità elementi certi come: il lavoro salariato e normato (quindi garantito), il lavoro autonomo e le professioni libere, si fosse scheggiato in una molteplicità di frammenti dove più che le forme e modalità certe, conta più quanto si è nomadi lungo il ciclo produttivo e quanto si è multiattivi, cioè disponibili a più attività lungo l’arco della propria esistenza lavorativa.

LEGALITA’ E REGOLARITA’ NEL MERCATO DEL LAVORO

Questa caduta di occupazione e di posti di lavoro insicuri e atipici, ci deve indurre a “combattere” l’aberrante fenomeno del lavoro irregolare, sommerso e nero. Questo deve essere una delle priorità assolute di qualsiasi Governo, di qualsiasi colore politico.

Non solo per i risvolti economici ma soprattutto per il fatto che la lotta al sommerso consente più sicurezza nei luoghi di lavoro, più legalità e più diritti per i lavoratori.

Insomma, la legalità nel mercato del lavoro e  la lotta all’irregolarità ci rendono un paese più civile.

Educare alla legalità” significa, per noi, elaborare e diffondere un’autentica cultura dei valori civili.

sviluppa la consapevolezza che condizioni quali: dignità, libertà, solidarietà, sicurezza, non possano considerarsi come  acquisite per sempre, ma vanno perseguite, volute e, una volta  conquistate, protette e difese nel tempo”.

Fotolia_32098167_M-copyIl lavoro è, infatti, autonomia; possibilità di potersi staccare dal proprio nucleo famigliare; assumersi delle responsabilità; avere uno spazio sociale privato; costituirsi un futuro ed anche una famiglia, arricchire il proprio tempo libero; sviluppare nuovi interessi.

Lavorare significa partecipare agli incessanti processi di trasformazione dell’economia e della società, compresi questi così complessi.

Significa conoscere, vedere, incontrare, essere protagonisti di uno degli aspetti della vita sociale più straordinari: IL LAVORO.

Questo deve valere sia per chi dentro, sia chi è fuori dal mercato del lavoro; sia per chi è nel sottoscala del lavoro sommerso, che per i tanti al lavoro nella rete dei servizi”.

La flessibilità non può essere sinonimo di precarietà costante e di incertezza dell’occupazione e delle condizioni di lavoro.

La parcellizzazione del lavoro ha modificato, ormai definitivamente, la vecchia concezione dell’impresa fordista ed ha ridotto il lavoro salariato con la nascita di nuove figure professionali, che svolgono i propri lavori dentro e fuori l’impresa.

Siamo, ormai, di fronte a cambiamenti Epocali.

IL LAVORO CHE CAMBIA

La grande trasformazione delle società capitalistiche su scala mondiale, avvenuta a partire dalla metà degli anni ’70, può essere raccontata, quindi, in molti modi e sono disponibili numerosi schemi di sintesi, a cominciare da quando evidenziato e con altri a seguire.

Ognuno di questi, ritiene essenziale l’uno o l’altro dei numerosi mutamenti avvenuti.

Una delle tante versioni di quanto è avvenuto -ma orientata a comprendere la situazione italiana- può essere sintetizzata per punti:

image_amica_card_01SCENARI DI RIFERIMENTO

1)         Si è determinato un massiccio spostamento  dell’occupazione dalla produzione ai servizi.

-Si riprodurrebbe quindi lo stesso schema che ha presieduto alla trasformazione da società agricole a società industriali e vi è chi profetizza una riduzione in peso percentuale sulle attività economiche delle attività industriali allo stesso livello cui si sono attestate le attività agricole;

Si è sviluppata, affermata e diffusa una nuova tecnologia orizzontale: –analogamente a quanto è accaduto precedentemente con il vapore e l’elettricità– la tecnologia dell’informazione e della comunicazione (Tci), basata sulla convergenza dell’informatica e delle telecomunicazioni.

La nuova tecnologia renderebbe oggi accessibili i benefici di agglomerazione, tipici di economie locali, su scala prima impensabile.

 

La creazione di reti tra imprese basate sulla Tci, infatti, si realizza attraverso fenomeni quali la esternalizzazione di funzioni e processi, prima concentrati nella stessa impresa, e nella dispersione territoriale, anche con catene logistiche lunghe, di funzioni e processi che prima, anche se facenti capo ad imprese diverse erano concentrate su scala locale o al più regionale / nazionale.

3)         sono cambiate le modalità della produzione che non sono più basate solo su economie di scala ma coniugate con economie di scopo, con una forte differenziazione di prodotti e con una conseguente riduzione del volume di lotti produttivi.

      I cambiamenti che ne derivano riguardano le relazioni tra le imprese, l’organizzazione interna delle imprese e le forme di organizzazione del lavoro.

ConfialIn sintesi, per un verso si ha una dispersione spaziale delle precedenti grandi imprese centralizzate in unità più piccole e flessibili nel mentre si ha una riduzione delle micro imprese a favore delle piccole e medie, si sviluppano conseguentemente nuove forme di collaborazione – integrazione di attività tra le imprese-.

Per altro verso si diffonde una tendenza alla riduzione dei livelli gerarchici interni alle imprese con la conseguente riorganizzazione delle funzioni e dei ruoli a tutti i livelli dell’impresa.

Infine la flessibilità – che per come abbiamo accennato rischia di diventare precarietà endemica – diviene l’elemento chiave delle nuove pratiche operative che una volta affermatesi retroagiscono con significativa continuità con le relazioni tra le imprese, l’organizzazione interna delle imprese e le forme di organizzazione del lavoro, determinando quindi un circuito di cambiamento continuo.

4.) Questi cambiamenti spingerebbero verso l’adozione di Nuove forme di organizzazione del lavoro (nella letteratura internazionale con l’acronimo inglese Nfwo), cioè di un insieme di pratiche basate sul coordinamento interfunzionale delle attività e su una gestione delle risorse umane coerente con la domanda di maggiore flessibilità, competenze professionali maggiori ed un coinvolgimento, secondo la lezione giapponese, dei dipendenti nella realizzazione delle prestazioni dell’impresa.

5.) Contestualmente, a partire dalla fine degli anni ‘80, si è sviluppato e poi diffuso un nuovo concetto per il settore pubblico, il cosiddetto New public management (Npm) che introduceva -accanto ai vecchi- dei nuovi strumenti per la gestione dei servizi pubblici;

6.) il vecchio modello taylorista/fordista di produzione, ed il suo corrispettivo nel lavoro burocratico, sarebbe finito o ridotto a posizione marginale.

Tir trasporto su gomme in tutto il mondo - 3DLa natura “turbolenta”, cioè imprevedibile e non pianificabile dei mercati e più in generale del contesto socio-economico delle attività lavorative, infatti, richiedono tali e tante variazioni improvvise che è necessaria un intrinseca flessibilità organizzativa che può scaturire solo dalla mobilitazione del potenziale creativo e flessibile del lavoro umano.

 Tale potenziale può liberarsi solo se si premia l’imprenditività del singolo, cioè la sua autonomia e responsabilità. Su questa base si possono introdurre, poi, modalità nuove di co-operazione lavorativa.

7.) I nuovi lavori e le nuove modalità di svolgimento dei vecchi quindi sarebbero caratterizzati da un alto contenuto e domanda di conoscenza e competenze.

Tale domanda non può essere soddisfatta dal classico ciclo sequenziale “scuola – lavoro – pensione”, ma richiede un costante aggiornamento.

Le persistenti differenze tra chi lavora risulteranno essere una misura oggettiva delle differenze di capacità in termini di autonomia, creatività e responsabilità, che solo la formazione continua può colmare.

Verranno quindi discriminati e marginalizzati coloro che non sono adeguatamente istruiti e non hanno accesso a momenti continui di formazione ed aggiornamento.

8.) l’intelligenza farà aggio sulle competenze manuali tradizionali che verranno man mano assorbite da sistemi di macchine guidate da sofisticati software – degli “schiavi tecnologici” capaci di rispondere a comandi vocali o di seguire comportamenti non programmati orientati ad uno scopo funzionale -.

La nuova società, quella che ci interroga e si afferma, infatti, nel solco della globalizzazione dei mercati e della finanza, sembra fatta per una minoranza illuminata formata da consulenti tecnici, professionisti ed imprenditori che vivono seguendo, o meglio accompagnando, la net society. Una società reticolare a maglie strette che tende ad alimentare –ormai diversi studi e ricerche ne sottolineano il rischio– meccanismi di esclusione piuttosto che di inclusione sociale.

9.) la capacità quindi di manipolare simboli -in specifico simboli di natura logico/matematica- sarebbe diventata quindi il valore guida dei nuovi lavoratori specializzati: i lavoratori della conoscenza, coloro che, organizzeranno e gestiranno i processi lavorativi e costituiranno la nuova elite, basata sul merito e non sul censo o sul controllo del capitale.

Si andrebbe affermando quindi una società della conoscenza.

10.) Si sarebbe aperta quindi un era di riequilibrio oggettivo del rapporto di potere tra lavoro e capitale perché il capitale non avrebbe più avuto bisogno di forza lavoro sostanzialmente infinitamente intercambiabile -con la eccezione di pochi “capi” o superspecialisti- ma di un’intelligenza diffusa che avrebbe reso il rapporto di lavoro a tal punto individualizzato da rendere obsoleti vecchi sistemi di inquadramento e retribuzione.

Sarebbero divenuti quindi prevalenti sistemi di relazioni industriali ad alta “individualizzazione” o addirittura si sarebbero superati i classici strumenti del sistema di relazioni industriali -contratto collettivo, rappresentanza sindacale in azienda, ecc – per forme di contrattazione individuale.

untitledSi pensi al ruolo STRATEGICO  degli Enti Bilaterali.

 Il riequilibrio infatti del rapporto di potere tra il singolo lavoratore e l’impresa avrebbe consentito di superare la rappresentanza e la contrattazione collettiva, nata per compensare il preesistente squilibrio di potere;

11.)  Le persistenti differenze tra chi lavora sarebbero divenute una misura oggettiva delle differenze di capacità in termini di autonomia, creatività e responsabilità;

12.) In questa prospettiva mentre si considerava superata l’epoca della fatica fisica e dei rischi legati all’ambiente lavorativo, si paventava, come rischio fondamentale per la salute e la sicurezza di chi lavora, un sovraccarico cognitivo che in collegamento con un’evidente intensificazione ed estensione dell’uso del tempo avrebbe creato pericoli seri all’integrità psicofisica dei nuovi lavoratori.

In quest’ottica uno dei veicoli fondamentali di innovazione per l’Europa doveva diventare l’innovazione organizzativa combinata con quella tecnologica.

Di qui nascono una serie di programmi, progetti e indicazioni della Comunità, prima dell’Unione europea, poi, tra questi il più recente ed ambizioso è il libro verde per una partnership a sostegno della nuova organizzazione del lavoro.

Ed ancora Industria 4.0. Un nuovo Tsunami in arrivo da qui al 2025 che, purtroppo, travolgerà le vite di milioni di persone.

L’industria 4.0. cambierà ancora il mondo del lavoro che, ormai è diventato sempre più, il mondo dei lavori e dei nuovi lavori, soprattutto.

Questo insieme di misure si orienta su due filoni base: la formazione e schemi pubblici di sostegno all’innovazione organizzativa.

I nuovi lavori e le nuove modalità di svolgimento dei vecchi, quindi, saranno caratterizzati da un alto contenuto e domanda di conoscenza, quindi dell’uso permanente dello strumento formativo.

Il rapporto tra momento formativo ed esperienza lavorativa sarà in continuo divenire, perché per continuare ad essere competitivi sul mercato del lavoro sarà necessario ricorrere alla cosiddetta formazione permanente.

La formazione, in tutto questo, resta, quindi, il perno centrale.

Vanno, allora, integrate le politiche di orientamento e di transizione scuola/lavoro, nonché quelle orientate all’offerta formativa e quelle relative alla consulenza e servizi alle Pmi ed alla formazione dei lavoratori con politiche tese a modificare il posizionamento delle imprese e quindi la loro domanda di servizi e di lavoro qualificato.

Importante, su questo versante, può risultare, proprio, l’utilizzo dei Fondi Interprofessionali come investimento, anche, in termini di regolarità e legalità sul mercato del lavoro.

I Fondi interprofessionali, sono uno strumento importante poiché hanno la finalità di promuovere lo sviluppo della formazione continua dei lavoratori.

I Fondi Paritetici Interprofessionali, possono finanziare piani formativi aziendali, settoriali e territoriali, che le imprese in forma singola o associata decideranno di realizzare per i propri dipendenti.

ReclamoCONSIDERAZIONI CONCLUSIVE

I punti appena elencati sono fortemente caratterizzati dalla costruzione di veri e propri stereotipi del cambiamento.

L’Industria 4.0. potrà essere, per come accennato, uno Tsunami distruttivo (ancora di posti di lavoro e imprese), oppure una grande opportunità capace di fare aumentare il PIL del nostro paese di oltre 4 punti.

È abbastanza evidente che i processi in natura non sono lineari e privi di contraddizioni, ragione per la quale ognuno di essi va rivisitato criticamente per articolarlo in modo più realistico, quando non per scoprire che la realtà è ben lontana da quanto lo stereotipo dice.

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